Un tempo era sottovalutato ma, dagli anni ’70 in poi, il vino Ruchè di Castagnole Monferrato ha cominciato a prendersi la sua rivincita, guadagnandosi schiere di estimatori oltre che il riconoscimento a DOC, prima, e a DOCG, più tardi, nel 2010.
Un tempo era sottovalutato ma, dagli anni ’70 in poi, il vino Ruchè di Castagnole Monferrato ha cominciato a prendersi la sua rivincita, guadagnandosi schiere di estimatori oltre che il riconoscimento a DOC, prima, e a DOCG, più tardi, nel 2010.
Seppur ancora poco conosciuto e dal nome tutt’altro che altisonante, il Ruchè, prodotto in soli 7 comuni dell’Astigiano, ha tutte le carte in regola per essere apprezzato da chi ama il vino autentico e con un forte legame con il territorio.

Come spesso avviene in fatto di vini, lo stesso nome è usato per l’uva e per il suo prodotto. Ma non è stato sempre così per il Ruchè, il cui vitigno, un tempo, veniva chiamato Moscatellina, distinguendolo dal relativo vino: il Romitagi.
Oggi, invece, parlando di Ruchè (e occhio alla pronuncia, che tra poco vi sveleremo) ci si riferisce indistintamente al vitigno autoctono e al vino rosso: scopriamoli entrambi.
Che vitigno è il Ruchè: storia e curiosità di un’uva autoctona del Monferrato
Le uve Ruchè, come tutte le cose rare, vengono trattate con cura e rispetto. Si tratta di frutti a bacca rossa, a precoce o media maturazione e soggetti al temutissimo oidio.
La storia del Ruchè è cosa nota e in un certo senso intricata. Se non esistono dubbi sul luogo di nascita del vino, riconosciuto in Castagnole Monferrato, meno certa è l’origine del vitigno. L’ipotesi più accreditata è quella secondo cui la pianta sia autoctona del Monferrato Astigiano, ma, come sempre, c’è qualcuno che fa da contestatore.
Alcune teorie collocano in Francia l’origine della pianta, importata poi in Piemonte dai Monaci Cistercensi della Borgogna; altre voci ancora sostengono, invece, l’idea che il vitigno sia nativo della Spagna.
La scienza ha però fatto passi da gigante nei secoli e, nel 2016, un’analisi sul DNA del vitigno Ruchè ha confermato un suo strettissimo legame con altri due vitigni tipici del Nord Italia: la Croatina e la Malvasia aromatica di Parma, somiglianze che ne confermerebbero, almeno, l’origine nazionale.
Il vino prodotto dalle uve Ruchè, storicamente, non ha mai riscosso grande successo, essendo considerato un banale vino da tavola o da taglio, ma negli anni ’70 qualcosa è cambiato.
Il nome stesso di questo vitigno e del vino a cui dà origine è molto curioso e la sua pronuncia mette spesso in crisi chi non è della zona. L’etimologia della parola Ruchè è legata al termine roncet che, in dialetto, indica un virus a cui molti vitigni piemontesi sono soggetti: molti, ma non il Ruchè, che ne è invece indenne!

A questa versione se ne affiancano numerose altre, tante che molti si spingono a definire il Ruchè “il vino del mistero”. Tra le più raccontate è quella che lega il nome del vitigno a quello di San Rocco, Santo a cui era intitolato un santuario, oggi non più esistente, eretto nei pressi dei primi vigneti coltivati a Ruchè. Un altro modo molto diffuso per spiegare il nome di questo vitigno è quello che si rifà, come accade spesso in questi casi, al dialetto piemontese per il quale le rocche – parola da cui deriverebbe Ruchè – sono le colline più alte sulle quali si coltiva la vite.
In fatto di pronuncia, quella corretta è Rukè e non “ruscè” o “rouchè”, come spesso si sente dire dagli incerti.
Dove viene prodotto il Ruchè
La superficie vitata a Ruché è di circa 100 ettari, tutti concentrati in Piemonte e quasi tutti compresi nella DOCG Ruché di Castagnole Monferrato. A questi si aggiungono piccole coltivazioni di Moscatellina, concentrate nella provincia orientale di Alessandria.
Ma si sa, non basta piantare delle viti per fare un grande vino: occorre, invece crederci, studiarlo e investire. Proprio come ha fatto Giacomo Cauda, negli anni 70, quando era parroco di Castagnole e, guidato dalla convinzione che il vitigno potesse dare un vino estremamente interessante, si mise al lavoro per far fruttare un vigneto di proprietà della parrocchia.
I fatti gli hanno dato ragione e da quel momento in avanti il Ruchè si è guadagnato la stima di tantissimi consumatori, fino a ottenere il riconoscimento della DOC nel 1987 e DOCG nel 2010, per diventare quello che oggi è conosciuto come Ruchè di Castagnole Monferrato DOCG.
Non male per un prodotto che, fino ad allora, era poco più che un vino da taglio!
Il disciplinare che regola la produzione del Ruchè di Castagnole Monferrato DOCG è piuttosto severo, così come l’area di produzione è molto ridotta e limitata ad alcuni paesi dell’Astigiano. I comuni titolati alla produzione del Ruchè sono sette:
- Castagnole Monferrato
- Grana
- Montemagno
- Portacomaro
- Refrancore
- Scurzolengo
- Viarigi.

Caratteristiche del vino Ruchè
Il rosso di un calice di Ruchè è solitamente di un rubino non troppo carico, al quale fa da controparte l’intensità dei profumi. Gli esperti degustatori ritrovano nel bouquet del Ruchè di Castagnole Monferrato delle pronunciate note floreali, frutti di bosco e spezie, in particolare pepe nero. L’aroma varietale più spesso associato al Ruchè è la rosa.
In bocca, il Ruchè è speziato, con una moderata acidità ed un notevole tannino, e regala sensazioni che tendono a permanere e a soddisfare le papille gustative a lungo.
Ruchè di Castagnole Monferrato: gli abbinamenti consigliati
Il Ruchè, come molti altri vini rossi del Monferrato, si abbina alla perfezione a salumi e a formaggi, sia freschi, sia leggermente stagionati.
Le bottiglie più giovani si sposano bene con le carni alla griglia, ma se la preparazione da accompagnare è più elaborata, per esempio un arrosto o un bollito misto, di certo un vino più maturo è ben indicato.
Chi ama sperimentare sarà felice di sapere che il Ruchè si abbina splendidamente a molti piatti della cucina orientale, specie di quella tailandese, e questo grazie alle note speziate di cibo e vino che consentono un perfetto abbinamento per concordanza.