Conoscete davvero i vini del Monferrato? Oggi li scopriamo nell’articolo scritto per noi dagli autori del portale Amantidivino!
Amantidivino è un portale passionale e curioso.
Il nostro amore per il vino ci spinge a conoscere sempre di più il mondo vinicolo al fine di poterlo raccontare in maniera naturale e genuina.
Attraverso i nostri articoli, il racconto delle visite in cantina, le frasi sul vino e le citazioni dei produttori cerchiamo di trasmettere le esperienze vissute andando sempre alla ricerca di interessanti realtà.
Da questo punto di vista, il Monferrato non smette mai di stupire per storia, tradizione e curiosità.
Enozioni di storia
La coltivazione della vite in Monferrato risale probabilmente già ai tempi del Neolitico, con i primi vinaccioli rinvenuti nell’Alessandrino. Sviluppatasi poi in maniera consistente con i romani, la viticoltura in Monferrato ebbe un notevole mutamento all’inizio del primo millennio d.C.
Un periodo d’oro, quello tra il 1100 ed il 1300, che coincise anche con un momento di cambiamento ed innovazione della viticoltura. Grazie ai contatti politici tra il Monferrato e l’Oriente, il periodo tra il 1150 e il 1250 vide molti Monferrini in viaggio per la Grecia e la Terrasanta. Questi continui e variegati contatti con il mondo orientale permisero ai nobili del Piemonte di conoscenza le abitudini alimentari e dei vini dell’Oriente portando a conoscenza dei dotti i testi agronomici greci.
Nel XIV e nel XV secolo si trovano attestazioni che riguardano la viticoltura praticamente in tutte le zone del Piemonte. Di fronte all’importanza sempre crescente e all’ampia diffusione della vite si rese necessaria la creazione di statuti comunali di numerose norme riguardanti la vite e il vino: coltivazione, raccolta, produzione, manomissioni, furti, consumo e commercializzazione.
Da qui in poi la viticoltura continuò a progredire, migliorando le tecniche di coltivazione, vinificazione e conservazione.
In particolare, dal 1840 nelle vigne del Monferrato iniziò la diffusione dell’uso del filo di ferro, passaggio fondamentale per la viticoltura moderna.
Enozioni di “vite”
Durante la sua millenaria storia enologica, il Monferrato ha visto susseguirsi numerosi personaggi fondamentali nella valorizzazione del patrimonio vitivinicolo.
Detto dei componenti del casato e del marchesato, arrivando più ai giorni nostri, incontriamo 5 personaggi degni di essere ricordati.
Leopoldo Incisa della Rocchetta (1792-1871)
Nato ad Asti, ma cresciuto a Milano, dopo il pensionamento, si ritirò a Rocchetta Tanaro (Asti) e iniziò a dedicarsi agli studi vitivinicoli. Il primo di questi sostenne che il momento della “svinatura” doveva essere stabilito in base al grado di maturazione delle uve.
Inoltre, in quel periodo iniziò a circolare l’“oidio”. Incisa si accorse che lo zolfo, usato in vigna per combattere la crittogama, si rivelava utile sotto forma di solforazione. Su questo tema scrisse “La solforazione applicata con somma utilità nella fattura dei vini da bottiglie”. Il suo più grande lascito, però, fu il “Catalogo”, un trattato sulle caratteristiche dei diversi vitigni, volto anche a propagare i vitigni migliori per promuoverne la vendita.
Arturo Marescalchi (1869-1955)
È stato il fondatore di “la Società degli enologi italiani”, ancora oggi attiva, inoltre dette vita al periodico “L’Enotecnico”, oggi diventato “L’Enologo”. Oltre che in ambito editoriale ebbe grande successo anche a livello politico: per quattro volte fu eletto deputato ed ebbe incarichi di governo, quale sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura. Si batté, soprattutto, per la tutela dei vini tipici, la commercializzazione del vino e degli aceti.
Giacomo Bologna(?-1990)
Impossibile da non ricordare. Se la Barbera è diventato il vitigno che è oggi (dopo ne parliamo) molto lo si deve a Giacomo Bologna, in arte “Braida”. Ereditati i vigneti del padre in località Rocchetta Tanaro, nel Monferrato Astigiano, Giacomo Bologna, negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso (tempi duri e difficili per il vino), puntò tutto su questo vitigno autoctono facendone un proprio marchio di vita. Le sue Barbera sono diventate icone dell’enologia moderna: “La Monella”, “Bricco dell’Uccellone”, “Ai Suma”, hanno segnato la storia del vino italiano e non solo.
Anna Martinengo (1947-2010)
Se si parla di Giacomo Bologna non si può non parlare di sua moglie Anna Martinengo. E viceversa. Il successo nel mondo vitivinicolo dell’Azienda Braida, infatti, lo si deve all’incredibile connubio tra i due. Dal 1965, anno del loro matrimonio, iniziò un percorso in simbiosi tra lavoro e famiglia, nel quale Anna giocò per sempre un ruolo fondamentale. Dopo la morte di Giacomo fu, infatti, Anna a prendere in mano le redini dell’azienda diventando una delle prime e più famose Donne del Vino. Insieme ai figli Raffaella e Giuseppe ha creato la nuova Cantina Braida e diventa presto leader del settore.
Paolo Desana (1918-1991)
Dopo la guerra, nel quale fu deportato, iniziò la sua carriera politica diventando prima assessore al comune di Casale Monferrato e successivamente assessore all’agricoltura della provincia di Alessandria. Nel 1958 venne eletto senatore nel collegio Casale-Chivasso rimanendo in carica fino al 1963. Proprio in questo anno riuscì a far approvare la legge 930 sulla DOC (denominazione di origine controllata) dei vini italiani. Nel 1966 divenne presidente del comitato nazionale per la tutela della denominazione di origine dei vini mantenendo questo ruolo fino al 1989.
Enozioni d’uva
Tre sono i vitigni autoctoni monferrini per eccellenza:
Barbera
La Barbera è il vitigno per antonomasia della regione Piemonte, ma è nel Monferrato che esprime a pieno le sue caratteristiche.
L’origine, infatti, pare derivi dal Marchesato del Monferrato. Già citata in un contratto d’affitto del Casalese del 1200 come “de bonis vitibus berbexinis”, la Barbera venne esaltata, soprattutto, dal Conte Giuseppe Nuvolone Pergamo, vicedirettore della Società Agraria di Torino, il quale nella sua istruttoria del 1798 “Istruzione sulla coltivazione delle viti e sul metodo migliore di fare e conservare i vini” la definì tra le uve nere di qualità.
Il botanico Giorgio Gallesio nella sua Pomona Italiana (1817-1839), cita la Barbera come Vitis vinifera Montisferratensis, vitigno coltivato nell’area del Basso Monferrato.
Si riconosce per la sua plasticità e adattabilità alla diverse condizioni colturali e ambientali. I vini prodotti di solito sono relativamente poco tannici e con marcata acidità.
In giovinezza possono sprigionare leggerezza e fragranza, mentre con l’invecchiamento evolvono in rossi potenti e affinati. E’ diffuso anche nelle vicine Lombardia ed Emilia Romagna. In generale rappresenta il vitigno a bacca rossa più diffuso in Italia, insieme al Sangiovese. Ha raggiunto anche territori oltreoceano quali California, Australia e Argentina.
Grignolino
La zona di coltivazione principale del Grignolino è il Monferrato settentrionale.
Il vitigno celebrato in Tera Monfrin-a dal poeta Nino Costa, che lo esalta come rappresentativo del Monferrato insieme con il Barbera (il vino è profumato, di colore “come i rubin” e “bocant come ‘n basin”), risulta inserito per la prima volta in un libro di ampelografia nel 1798 ad opera del conte Nuvolone Pergamo.
Il Grignolino conobbe, con l’inizio della fillossera a fine Ottocento, un processo di abbandono a causa della sua delicatezza e imprevedibilità. Negli ultimi anni, però, è tornato alla ribalta riscontrando il favore di molti vignaioli.
Il Grignolino è vinificato con macerazione sulle bucce e discretamente provvisto di tannini. Delicato al primo impatto, si rivela sempre più consistente man mano che scende in bocca, con un buon equilibrio tra dolcezza e acidità e un finale lievemente astringente e ammandorlato.
Freisa
Le prime testimonianze della Freisa risalgono al 1517 in un tariffario doganale del comune di Pancalieri, nella pianura a sud di Torino. Nel documento si legge “carrate et somate Fresearum”, segnalandola come uva di pregio, pagata il doppio di una varietà comune.
Si tratta di un vitigno che soffre la siccità, mentre resiste alla muffa grazie all’acino piccolo e alla buccia spessa. Molto colorato, aromaticità intensa, tannini ben avvertibili, grande carattere.
Nel Monferrato la Freisa viene tradizionalmente vinificata in diversi modi: come uva da assemblaggio, ma anche in purezza. Da sola, come vino giovane e vivace, o come vino fermo, con macerazioni più lunghe sulle bucce, in questo caso di colore e gusto intenso e con una discreta capacità di invecchiare.